QUELLO CHE LA SEROTONINA NON SPIEGA
“Sono molti gli interrogativi che la depressione grave solleva. Perché ad esempio è ciclica? Come è noto, questa psicopatologia tende a risolversi autonomamente e a ripresentarsi, quando diventa cronica, dopo un periodo di totale o parziale remissione. I farmaci – come gli interventi psicoterapeutici finalizzati unicamente all’eliminazione del sintomo – nella migliore delle ipotesi accelerano una remissione che il naturale decorso della «malattia» prevede. Se si esclude la distimia, le altre forme di grave depressione sono caratterizzate da un pattern on-off. La depressione c’è o non c’è. Spesso i pazienti descrivono sia l’uscita che l’ingresso nella «malattia» come eventi improvvisi, a volte inaspettati. È una singolarità della depressione. Le altre psicopatologie quando si cronicizzano tendono a perdurare nel tempo”. (Ugazio, 2018,p.263)
Non è così per la depressione. Come mai?


Il nesso enigmatico fra depressione e arte solleva un altro interrogativo. Come mai persone con una triplice visione negativa: di sé stessi, del mondo e del futuro -secondo la celebre definizione di Beck (1967)- sono in grado di creare opere importanti e tra cui alcuni tra i più grandi capolavori artistici? Come mai così spesso realizzano opere notevoli, non soltanto nel campo dell’arte, ma anche nel mondo economico, delle professioni e del business? E perché le persone con organizzazione depressiva contribuiscono a creare, come ormai numerose ricerche hanno dimostrato, gli eventi negativi che tendono a colpirli con maggiore frequenza di quanto accade nelle altre organizzazioni? Infine come mai persone con una grande capacità di recidere i legami e con un senso tanto acuto della solitudine come le persone con depressione cronica, rompono con tanta difficoltà la relazione di coppia? Linares e Campo (2000) sottolineano – e con ragione – che i depressi gravi, unipolari o bipolari, sono tra i pochi pazienti psichiatrici di rilievo a stabilire una relazione di coppia stabile e significativa.
Rispondo a questi e ad altri interrogativi nel 6° capitolo di :
STORIE PERMESSE STORIE PROIBITE
POLARITA’ SEMANTICHE FAMILIARI E PSICOPATOLOGIE
di Valeria Ugazio
Torino: Bollati Boringhieri, 2012 e 2018
UNA CONVERSAZIONE DOMINATA DALLA SEMANTICA DELL’APPARTENENZA
Una delle tesi che avanzo in Storie permesse, storie proibite è che nei nuclei familiari dove si sviluppano le gravi depressioni unipolari o bipolari prevale la semantica dell’appartenenza.
“L’essere incluso nella famiglia, nella parentela, nella propria stirpe, nella comunità è per i membri di queste famiglie la cosa più importante proprio perché nello stesso nucleo c’è chi è escluso, emarginato, reietto. L’espulsione dal gruppo, la mancanza di un’appartenenza familiare sono vissute dai membri di questi nuclei come un’onta irreparabile, mentre il bene più grande è essere radicati e onorati dentro i propri gruppi di appartenenza“. (Ugazio,2018, p.268 )
“Quando nella famiglia la semantica dell’appartenenza ha una storia antica in cui sono coinvolte più generazioni, pecore nere, rinnegati, defraudati e dimenticati si “con-pongono” con individui onorati, degni di essere ricordati per le loro azioni, o semplicemente perché il capriccio divino li ha inclusi fra gli eletti. Nascite illegittime, diserzioni, abbandoni si accompagnano a eventi fortunati come eredità, matrimoni da favola, riconoscimenti professionali, carriere folgoranti. Con qualcuno la vita sembra essersi accanita, mentre con altri è stata particolarmente generosa. Qualche membro della famiglia è adorato, ammirato, mentre altri sono ignorati, o oggetto di aggressività e violenza“.(Ugazio, 2018 p.272-273). E’ quanto accadeva, da quel che sappiamo, nella famiglia di Virginia Woolf.

Se la carenza di serotonina fosse davvero la causa della depressione, come è stato sbandierato per anni dalla psichiatria biologica e dall’industria farmaceutica, gli interrogativi a cui rispondo, come altri che la depressione solleva, non riceverebbero alcuna risposta.
MA LA SEROTONINA GIOCA DAVVERO UN RUOLO IMPORTANTE NELLE DEPRESSIONI?
Di fatto le ricerche di cui disponiamo non dimostrano affatto che la carenza di serotonina eserciti un effetto causale sulla depressione.
A partire dal 2000 la tesi che la depressione sia una malattia del cervello, assimilabile all’asma o al diabete, la sua presunta sbalorditiva crescita in Occidente e l’efficacia dei serotoninergici sono state, soprattutto negli Stati Uniti, duramente messe in discussione. Il dibattito che si è aperto, pur avendo la depressione e i serotoninergici come bersagli, ha messo in discussione la credibilità della stessa psichiatria, ipotizzandone pesanti collusioni con le Big Pharma. Le ragioni non mancano. I dati di cui disponiamo dimostrano che soltanto il 25 per cento dei pazienti depressi presenta livelli bassi di serotonina o di norepinefrina (Valenstein, 1998; Horwitz e Wakefield, 2007). Se l’ipotesi della deficienza di serotonina fosse eziopatologicamente corretta, spiegherebbe quindi soltanto una parte limitata di casi. Ma non è corretta, almeno eziopatologicamente. I bassi livelli di serotonina riscontrati in questi pazienti sono probabilmente la conseguenza anziché la causa della depressione Nessuna evidenza empirica ha dimostrato che lo squilibrio chimico sia la causa della depressione. Anzi, sappiamo che nelle scimmie, nostre parenti prossime, accade esattamente il contrario. Le ricerche condotte già negli anni Ottanta da McGuire e collaboratori sulle scimmie vervet, successivamente replicate e approfondite anche su altri tipi di primati non umani, dimostrano che i livelli di serotonina, e di altri correlati neurochimici, variano in rapporto allo status sociale delle scimmie. In una serie di esperimenti è emerso che le scimmie di status più alto avevano livelli di serotonina doppi rispetto alle gregarie, ma se venivano tolte dal gruppo in cui dominavano i loro livelli di serotonina rapidamente scendevano e apparivano agli osservatori umani “depresse”. Al contrario le scimmie che, con l’allontanamento delle scimmie dominanti, avevano guadagnato uno status elevato aumentavano rapidamente i loro livelli di serotonina.
Per saperne di più su questo tema vi suggerisco di leggere questo bellissimo testo:
A.V.Horwitz and J.C. Wakefield (2007)
The loss of sadness. New York: Oxford University Press
I risultati che hanno avuto una risonanza maggiore riguardano l’efficacia del Prozac e degli altri SSRI e i loro effetti secondari così come sono emersi dai test clinici in doppio cieco. Si tratta di risultati sconcertanti. Presentati come miracolosi, questi farmaci hanno effetti identici o di poco superiori al placebo. Un dato questo, detto il piccolo sporco segreto (“the little dirty secret”, Kirsch, 2010), perché ben noto alle industrie farmaceutiche che per anni l’hanno taciuto.

È VERO CHE I SSRIs AUMENTANO IL RISCHIO DI SUICIDIO?
Sembra proprio di sì ed è questo il dato più preoccupante del “little dirty secret” di cui si è detto. La Federal Drug Administration sapeva e ha taciuto.
L’incremento dei comportamenti suicidari è stato dimostrato per bambini, adolescenti e giovani adulti tanto che la Federal Drug Administration ha recentemente concluso che «i SSRI duplicano, rispetto al placebo, il rischio di pensieri e comportamenti suicidari nei soggetti depressi fino a 24 anni» (Kirsch, 2010, p. 151).

È VERO CHE LA DEPRESSIONE STA INCREMENTANDO IN MODO ESPONENZIALE?
Non di certo così tanto come sembrerebbe. I dati allarmanti diffusi negli ultimi vent’anni sembrano generalmente gonfiati. Non sono aumentate le persone depresse, ma le diagnosi e i trattamenti farmacologici per questa psicopatologia perché sono cambiati i criteri diagnostici.
Il DSM, a partire dalla sua terza edizione del 1980, ha introdotto criteri così poco discriminativi e decontestualizzati per la diagnosi di «depressione maggiore» che confluiscono in questa categoria diagnostica tanto persone normalmente tristi a causa di eventi negativi, quanto pazienti affetti da depressione clinica. Duemilacinquecento anni di tradizione clinica occidentale sono stati spazzati via dalla terza edizione del DSM in poi. Persino la tradizionale distinzione psichiatrica fra le depressioni «endogene» – causate per definizione da processi interni, in assenza di eventi esterni negativi – e le depressioni «reattive» – scatenate da perdite e altri eventi sociali negativi – è ignorata.
Non siamo quindi di fronte a un’implosione dell’Occidente nella depressione. Le depressioni gravi, unipolari o bipolari, continuano a essere infrequenti. Sono cambiati i criteri diagnostici: la tristezza si è trasformata in un disturbo mentale e la depressione clinica viene per lo più diagnosticata come disturbo bipolare, l’erede della psicosi maniaco-depressiva (Horwitz and Wakefield, 2007,p.182).
Se volete approfondire l’argomento vi consiglio questi testi, sono i più interessanti tra quelli che ho letto:
Bentall R. (2003), Madness explained. Psychosis and human nature. Penguins Books, London.
Bentall R. (2009) Doctoring the mind. New York University Press, New York
Greenberg G. (2010). Manufacturing Depression. The Secret History of a Modern Disease. New York: Simon & Schuster [trad. it. Storia segreta del male oscuro. Torino:Bollati Boringhieri, 2011].
Healy, D. (2004). Let Them Eat Prozac.New York: New York University Press
Horwitz, A.V. e Wakefield J. C. (2007), The Loss of Sadness. How Psychiatry Transformed Normal Sorrow into Depressive Disorder, Oxford University Press, New York.
Kirsch I. (2010), Antidepressants: The Emperor’s New Drugs?, Basic Books, New York.
Joiner T. E. e Coyne J. C. (a cura di) (1999), The Interactional Nature of Depression, American Psychological Association, Washington DC.
Linares J. L. (2010), Depressione e distimia: basi relazionali e guide per l’intervento, Ter. Fam., vol. 94, 79-94.
Linares l. & Campo C. (2000), Tras la honorable fachada. Paidos Iberica, Barcelona. [Dietro le rispettabili apparenze. I disturbi depressivi nella prospettiva relazionale. Franco Angeli, Milano 2003].
Loriedo C. e Jedlowski M. (2010), Aspettative totalizzanti e relazioni familiari nella depressione, Ter. Fam., vol. 94, 60-78.
Pettit J. W. e Joiner T. E. (2006), Chronic Depression. Interpersonal Sources, Therapeutic Solutions, American Psychological Association, Washington DC.
Prince J. e Gardner R. (1999), Sociophysiology of Depression, in Joiner e Coyne (1999).
Ugazio, V. (2010). Quello che la serotonina non spiega. Terapia Familiare, 94, 7-20. DOI:10.3280/TF2010-094001Ugazio, V. (2010).
L’appartenenza negata. Il contesto intersoggettivo delle organizzazioni depressive. Terapia Familiare, 94, 41-59. DOI:10.3280/TF2010-094004